La maggior parte degli abusi sessuali viene perpetrato da conosciuti, persone cioè dell’ambito familiare o vicine ad esso. Si tratta spesso di persone insospettabili. Un caso di abuso lo troviamo nel Carlino del 21 luglio 2020 (Avellino) in cui l’abuso veniva perpetrato all’interno della famiglia stessa da parte di un nonno sulla nipote di 5 anni. Il nonno è finito in carcere per violenza sessuale aggravata nei confronti della nipote di appena 5 anni. Purtroppo qui, a differenza del caso di Martina, che verrà descritto successivamente, gli abusi sessuali sarebbero iniziati nel 2018 con la madre della piccola consapevole e compiacente. Spesso l’abuso sessuale non viene ritenuto vero dagli adulti neppure se i minorenni lo fanno presente.
Un caso di abuso sessuale perpetrato però da persone, non della famiglia, in cui non si viene creduti neanche quando l’abusato ne parla, lo ritroviamo nella rivista di “Psicologia contemporanea” 2012 dove veniva riportato il caso di Martina (nome di fantasia) bimba di 11 anni che da tempo aveva confidato alla madre che l’uomo che lei frequentava assiduamente, e che spesso si occupava oltre che di lei anche del fratello, in alcune occasioni questo uomo le aveva toccato i genitali. La bambina appariva alla madre tranquilla e quindi non diede peso alle sue parole. Inoltre la madre aveva fiducia nei confronti del suo uomo ed era convinta che la figlia fosse gelosa di lui, per cui non fece nulla. L’abuso quindi durò ancora per circa un anno e ciò proprio perché Martina non ne aveva più voluto parlare a causa dell’indifferenza della madre. In seguito infatti disse “non ho pensato di dirlo alla mamma la prima volta, ma dopo due o tre volte gliel’ho detto… Forse ho pensato che non lo faceva più, invece lui l’ha fatto ancora, la mamma non ci credeva ancora, solo poco tempo fa mi ha creduto.” Fortunatamente in questo caso vi è stata una madre che ha saputo, anche se in ritardo, porre fine alle violenze sessuali su sua figlia. Il ritardo in molti casi può dipendere dal fatto che alcuni bambini vittime di abuso sessuale non presentano all’apparenza sintomi rilevanti, reagendo con modalità contrarie ai più comuni preconcetti degli adulti.
Nel 1983 Roland C. Summit tratta della sindrome da abuso sessuale infantile “CSAAS” per descrivere come i bambini, di abusi sessuali, rispondessero “agli abusi sessuali in corso”. Sosteneva che i bambini imparavano ad accettare la situazione per sopravvivere. Riteneva che il bambino non aveva via d’uscita, non c’era un posto dove scappare, il bambino imparerà ad adattarsi alla realtà del continuo abuso sessuale. Esso si configura sempre e comunque, come un attacco destabilizzante alla personalità del minore, ed al suo percorso evolutivo psicologico, in base alla precocità, alla frequenza, alla durata e alla gravità degli atti sessuali. L’intensità e la qualità degli effetti dannosi derivano dal bilancio fra le caratteristiche dell’evento e gli atteggiamenti protettivi e riparativi del mondo esterno che vengono attivati in relazione all’abuso perpetrato. Naturalmente il danno è tanto più grande quando l’esperienza non viene verbalizzata o non elaborata, e quando il fenomeno resta nascosto o non viene riconosciuto.
Il punto centrale è il conflitto tra l’esperienza del bambino e l’indifferenza del mondo adulto. Spesso vi è una società adulta che non è disposta ad accettare, ne è disponibile ad esserne convinta. Non tutti i bambini sono come Martina che raccontano, non tutti gli adulti ascoltano e verificano come la mamma di Martina. Fra i segni indicatori troviamo: “le conoscenze sessuali improprie” e “i comportamenti sessualizzati”. Entrambi esigono un approfondimento.
Le ferite profonde, laceranti, e le sensazioni nauseabonde che questi abusi sessuali lasciano su alcuni bambini, futuri uomini o future donne, potranno essere finalmente curate attraverso un percorso, non breve, di psicoterapia analitica. Attraverso questo percorso riusciranno finalmente non solo a “vomitare” definitivamente le sensazioni nauseabonde che erano rimaste imprigionate per anni ed anni nella loro mente,nei loro neuroni, ma si potranno liberare finalmente anche del “senso di sporcizia” che si sono portati avanti per tanti anni (nel caso in cui la psicoterapia venga iniziata in età adulta es. sui 30anni circa).
La psicoterapia li aiuterà sia ad aumentare l’autostima che a vivere bene dentro il loro corpo, con il loro corpo, ritrovando cioè finalmente l’armonia psicofisica… l’armonia con se stessi.